Dell’elmo di Scipio, il tuo
libro sul Risorgimento, promesso per il 2011, è finalmente uscito. Ma come mai
in forma di e-book?
Nel 2011 non si poté pubblicare
perché l’editore che si era impegnato a farlo poi cambiò idea. A invogliarmi a
ricorrere all’e-book – ed anche a non farmelo considerare un ripiego ma una
eccellente alternativa – è stata la mia amica (ed anche collaboratrice de “La
Cittadella”) Michela Alessandroni, che a febbraio ha varato la sua casa
editrice, la flower-ed, per la quale appunto è ora uscito il mio saggio. Quella
dell’e-book è una scelta che penalizza i lettori non informatizzati, ma è un
fatto che ormai questi sono davvero pochi; non vanno poi sottovalutate le
grandi potenzialità di questo nuovo tipo di editoria, e i vantaggi rispetto al
cartaceo, come quello di poter aggiornare in modo continuo e senza ricorso a
costose ristampe la prima edizione del testo.
Il sottotitolo esplicativo del tuo libro recita: “Storia d’Italia,
Risorgimento e memoria di Roma”. Non sembra il classico libro, pro o contro,
sul Risorgimento…
Il libro ha 13 capitoli, 15 se
consideriamo anche l’introduzione e la conclusione, entrambe ampie ed
importanti. Dei 13 capitoli 9 sono dedicati a figure, correnti, eventi, aspetti
del Risorgimento, seguendo la periodizzazione classica che va dalle cosiddette
“repubbliche giacobine” all’età umbertina. Ma i primi tre capitoli riguardano
tutta la storia precedente d’Italia e sono legati ai seguenti dal tema della
“memoria di Roma”, poiché la tesi centrale dell’opera è che l’unità
etnico-culturale e politica dell’Italia si deve a Roma antica, e l’ideale
successivo di uno Stato degli Italiani, dal Medioevo in poi, ha sempre trovato
il suo fondamento principale, appunto, nella “memoria di Roma”. Il titolo del
libro, intellegibile per ogni italiano, sintetizza, penso efficacemente, il
concetto.
Il tuo libro viene da lontano, da una fortunata serie di articoli su
“Politica Romana” degli anni ‘90, se non sbaglio…
Sì, è così. Nel 1996 pubblicai
per quella rivista fondata da Piero Fenili e Marco Baistrocchi – una rivista
congiungente gli interessi esoterici a quelli storico-politici – un articolo
sulla Grande Guerra, teso a valutare positivamente questo evento grande e
terribile vissuto dal giovane Regno d’Italia. Baistrocchi, un diplomatico con profondi interessi
per l’esoterismo e la religione romana, mi invitò ad ampliare l’orizzonte di
quell’articolo, chiedendomene uno sul Risorgimento, ove, come avevo fatto per
il ‘15-‘18, se ne mettesse in luce la dimensione “romana”. Fu così che iniziai
uno studio molto approfondito, che mi portò a scrivere non un articolo ma un ponderoso
saggio, che fu pubblicato in tre puntate, seguendo i tempi un po’ problematici
della rivista che lo ospitava, così che la prima parte apparve nel 1997 e
l’ultima solo nel 2004.
Quel lavoro, nonché tanti altri
articoli e interventi in internet sempre aventi a che fare col Risorgimento, mi
hanno procurato, almeno negli ambienti che si interessano al rapporto tra
esoterismo e storia, e politica, una certa notorietà come studioso filo-risorgimentale
del Risorgimento, e da parte di davvero molti amici e lettori l’invito a
condensare in un libro tutto ciò che avevo pensato e scritto in materia.
Dunque, Dell’elmo di Scipio – questo
va senz’altro detto – non è la mera riproposizione di quanto pubblicato su
“Politica Romana”: il libro ha riferimenti storiografici, e di cronaca
culturale e politica, che arrivano alle soglie del 2012.
Forse è il rapporto con l’esoterismo che andrebbe chiarito… Il
Risorgimento al massimo viene legato, ora in positivo ora in negativo, con la
Massoneria…
Fondamentalmente io sono uno
studioso di esoterismo, di quelli che Guénon chiamava “studi tradizionali”, e
sono, per quanto riguarda il personale orientamento spirituale ed
intellettuale, conosciuto come esponente di quella corrente alla quale è stato
dato il nome di “tradizionalismo romano”, cui è proprio il rivendicare la
permanente attualità della spiritualità precristiana italico-romana. Ora, nel
mio libro sostengo che dal Medioevo in
poi hanno agito nella storia del nostro Paese delle élites “pagane”, alcune
anche d’indirizzo ermetico, che hanno mantenuto vivo, influenzando anche la
letteratura e le arti, l’ideale “romano” dell’unità d’Italia, e hanno pure concretamente
operato per la sua attuazione. Dal ‘700 fino al primo ‘900 anche nella
Massoneria sono state veicolate le influenze di quelle élites. Comunque sia,
l’Italia una, senza la memoria culturale della Romanità, trasmessa di secolo in
secolo soprattutto dai letterati, non si spiega.
L’introduzione del tuo saggio fu anticipata nel novembre del 2010 con
un intero paginone su “Il Foglio” di Giuliano Ferrara. Allora colpì – ne tiene
positivamente conto anche Adriano Scianca nel suo saggio Riprendiamoci tutto dedicato alle idee-base di Casa Pound – la tua
forte sottolineatura del diffuso orientamento antirisorgimentale nella destra
italiana, oltre che nella sinistra.
Io, nell’introduzione, che nel
libro ora pubblicato ha subito qualche necessaria variante, dovuta agli eventi
del 2011, ho voluto mettere in luce come la Lega – della cui dirigenza oggi
vediamo svelata la miserabile natura – non venisse fuori dal nulla, nel suo
animus sia antiromano sia antirisorgimentale. L’ideologia leghista è
inspiegabile senza il retroterra antirisorgimentale delle famiglie politiche
dell’Italia repubblicana: comunismo internazionalista, cattolicesimo
universalista e antiunitario, estrema destra germanofila e cattolico-integralista.
Ho dato particolare rilievo alle posizioni di destra perché è la cultura di
destra quella storicamente più attenta alle mitologie politiche, alle
connessioni tra il sacro e il politico, all’idea di influssi esoterici nella
grande storia.
Ma il tuo saggio, può essere etichettato politicamente? Si rivolge ad
una parte politica in particolare?
E’ esattamente da 30 anni che
vivo nell’ambito della cultura di destra e la considero ancor oggi la mia
cultura di appartenenza. Attenzione: parlo di cultura, e non di area politica,
poiché non mi riconosco in nessun partito o movimento di destra attualmente operante
nel nostro Paese. Il mio è un libro che nasce, come già ho detto, nell’area
degli “studi tradizionali”, che in genere sono annessi alla cultura di destra,
ma se dovesse essere proprio etichettato politicamente, forse gli converrebbe
una etichetta di “sinistra nazionale”, poiché la massima valorizzazione la
riceve la sinistra risorgimentale (con Mazzini, Pisacane, Garibaldi, Crispi),
in quanto nell’800 è stata questa corrente, e non la destra moderata
cavouriana, a sentire fortemente e a veicolare attivamente il mito di Roma. Ad
ogni modo, nel mio saggio ho voluto mostrare come sia possibile a vari
possibili schieramenti politici italiani trovare nel Risorgimento figure ed
idee che servano da modello, e che giudico tutte positive, proprio per l’accento
da esse posto su una concezione dello Stato e della società sensibile a valori
“antichi”, come il primato della spiritualità e della politica rispetto alla
sfera economica, il riconoscimento di un’etica guerriera (senza che ciò
significhi esser guerrafondai) come necessario elemento vitale di una nazione
pure democratica, la decisa opposizione al temporalismo della Chiesa cattolica,
anche da parte di chi aderisca alla sua religione. Insomma, alla destra
liberale indico come esempi Ricasoli e Sella; alla sinistra Pisacane, Mazzini e
Garibaldi; ad una “destra sociale” i precedenti ma anche Crispi. In fondo,
anche nel miglior fascismo erano presenti pure tutte queste eredità.
Tu sei meridionale, sai bene che vi è una forte critica d’origine
meridionale all’unificazione nazionale, addirittura con punti di vista filo-borbonici.
Nel tuo libro affronti questa problematica?
Da ragazzo - ne fanno fede due
miei libriccini giovanili di poesie - avevo una forte ideologia
“meridionalista”, connessa a posizioni di estrema sinistra, che mi portavano
anche ad una simpatia verso il cosiddetto “brigantaggio”. Mi sono poi reso
conto dei forti limiti storiografici di certo antirisorgimento meridionalista,
sia di sinistra sia di destra, nonché del profondo errore spirituale, politico
ed etico che vi sta dietro. Non mi va più neanche di dirmi “meridionale”,
poiché in effetti sono pienamente “italiano”: padre calabrese figlio di un
siciliano formatosi a Torino, madre puramente lombarda. C’è un Sud comunque in
cui mi riconosco, che è fondamentale per la vita eterna dell’Italia, ed è il
Sud di Pitagora, di Campanella, di Giordano Bruno, ma anche quello di tanta
gente comune che manifesta spontaneamente alcuni positivi valori del passato,
come il senso della comunità e dell’ospitalità. Senza il Sud l’Italia mancherebbe di alcuni
fondamentali impulsi spirituali. Nel mio libro, ho dato il massimo risalto al
ruolo attivo, creativo, del Sud nel Risorgimento, dal ‘700 in poi. Il Sud ha
espresso figure straordinarie di patrioti, figure notissime ma anche
semisconosciute, di grande qualità spirituale e intellettuale, di salda forza
etica, di stupendo coraggio guerriero. E’ peraltro vero che dopo il ‘60 il Sud
ha conosciuto una vera guerra civile – quella conosciuta col termine
“brigantaggio” - in buona misura
conseguenza della vittoria della parte liberal-moderata del movimento unitario
su quella democratica, che non a caso avrà poi al Sud (a Messina ad es.) le sue
roccaforti elettorali.
All’apparire del governo Monti, Eugenio Scalfari disse più o meno che
finalmente riappariva la Destra liberale “perbene” dei primi decenni
dell’Unità. Che ne pensi di una simile affermazione.
Scalfari in passato ha sfoderato la retorica
risorgimentale contro la Lega, poi di recente ha dichiarato – alla Gruber se
non ricordo male – che lui si sente solo “europeo”, che è “italiano” così come
uno è “fiorentino”. In quel momento l’ho disprezzato tanto quanto disprezzo
Umberto Bossi. Nel mio libro si potrà notare come un Sella, ad es., non avrebbe
mai detto una cosa simile. Quanto al governo Monti, nelle conclusioni del mio
saggio io ricordo la figura di Silvio Spaventa (meridionale, per inciso), che
da ministro dei Lavori pubblici del governo della Destra ingaggiò una veemente
campagna contro le società anonime della finanza internazione, battendosi per
la statalizzazione delle ferrovie, sostenendo il primato dell’interesse
nazionale su ogni interesse privato. Certo, c’erano altri uomini politici dell’epoca,
come Ubaldino Peruzzi, che erano per le concessioni ai banchieri Rothschild e
Péreire, ma io sto con Spaventa, uno che diceva che le ferrovie dovevano essere
pubbliche perché così erano le antiche vie romane, considerate «come cosa sacra, e assolutamente estranea a
qualunque idea di privato lucro», uno che diceva
che «la fede nella patria e nella solidarietà
umana, qualche cosa che non sia solamente il nostro miserabile egoismo, io la
credo necessaria e salutare per il mio Paese».
Insomma, niente a che fare con Berlusconi, ma neanche con Monti.
di Sandro Consolato
Eccellente. Servono più Consolato, in questo Paese.
RispondiElimina